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arte e oltre / art and beyond
rivista trimestrale di arte contemporanea
ISSN 2284-0435

La rivoluzione silenziosa del viandante nella mostra Patois/Patuà al WIELS di Bruxelles

Marzia Failla
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Possono il linguaggio e gli oggetti tradizionali come amuleti e talismani, legati ad una comunità limitata, condurre alla sopravvivenza di culture considerate marginali, costrette alla migrazione, all’oppressione o anche alla cancellazione della propria memoria?
La via della resilienza scelta dall’artista brasiliano Paulo Nazareth mostra una ricerca che nel movimento ha trovato il proprio atto di resistenza pacifica.
Paulo Nazareth (Governador Valadares, 1977) è infatti un artista che elabora le proprie opere mentre è impegnato nell’atto di camminare: il movimento si evolve, nella sua analisi, in una rivoluzione silenziosa e intimistica e lo conduce ad attraversare differenti stati nazionali, a relazionarsi con diverse etnie linguistiche o religiose e più ampiamente ad elaborare una riflessione sui sistemi di potere contemporanei.
Le rotte migratorie, le lotte per l’autodeterminazione dei popoli in Sud America così come in Africa, il dominio politico-economico del Nord del mondo sul Sud, sono traiettorie di indagine che l’artista abbraccia esperienzialmente a partire dal proprio corpo, dalla propria testimonianza diretta.
La peregrinazione, dimensione che da oltre quindici anni accompagna l’artista e la sua creazione, è intesa come passaggio e solco testimoniale in grado di “disseppellire” memorie celate, sfumate o che col tempo verranno cancellate.
Paulo Nazareth si fa portavoce di tutte quelle storie minori che gridano attenzione: i suoi lavori, che correlano insieme memoria culturale, linguaggio e rituale si sviluppano attraverso il dislocamento, il passaggio e il cammino, e in generale trovano la loro cristallizzazione tramite l’azione.
La sua Arte de Preceito si propone di problematizzare le questioni razziali, migratorie e le ingiustizie sociali distruggendo gli stereotipi e i luoghi comuni, così ogni singolo passo diviene un atto performativo per l’artista, a partire dal quale testimoniare l’eredità coloniale nel panorama contemporaneo.
La mostra Patois/Patuà, prima retrospettiva sul lavoro dell’artista in corso al Wiels - Centro d’arte contemporanea di Bruxelles dal 1 febbraio e fino al 27 aprile 2025, presenta opere riferite a oltre un ventennio di attività di Nazareth.
Curata da Fernanda Brenner, con il supporto di Mendes Wood DM e grazie alla collaborazione di alcuni parenti dell’artista, tra cui Ana Gonçaves da Silva, madre dell'artista, e Ana Ycaro, sorella dell'artista, l’esposizione mette in luce in luce gli attraversamenti transnazionali di Nazareth. Essi avvengono da oltre quindici anni a piedi nudi, tra l’America del Sud e l’Africa, e non sono solo viaggi interiori, bensì producono atti radicali di resistenza, tramite performance partecipative con le comunità, opere video, fotografie, disegni: un corpus in continua evoluzione.
Il Wiels di Bruxelles, nel quartiere meridionale Vorst/Forest della capitale belga, dal 2003 divenuto spazio culturale nella cornice dell'edificio progettato dall’architetto Adrien Blomme (1), ha esplorato questo interessante percorso sull’attività di Nazareth incrociandolo con la storia di immigrazione che contraddistingue la capitale belga (2).
L’artista, che molto spesso nella sua ricerca artistica esplora le culture indigene del Sud America, le loro simbologie e ritualità, correlandole con la “storia dominante”, viene presentato in associazione ai due concetti di patois e patuà: il patois è un idioma non ufficiale da associare a comunità poco numerose, che vivono ai margini e spesso di natura tribale, mentre il patuà è un talismano afro-brasiliano a cui vengono attribuiti poteri di protezione e augurio di buona sorte (3).
Tra le circa ottanta opere presenti al Wiels di Bruxelles, emergono con chiarezza i temi cardine su cui la ricerca dell’artista ha sedimentato la propria attenzione. Le questioni razziali, così come le emergenze migratorie e le lotte al colonialismo affiorano in opere come Ode to the Sovereignty of Africa del 2019: questo lavoro è composto da un’installazione in cui compaiono le cinquantaquattro bandiere nazionali degli altrettanti stati riconosciuti nel continente africano. Esse si mostrano su degli schermi video, a loro volta impilati su dei pali, e si rivelano come usurate e logorate dal tempo, dalle lotte coloniali e dai confini rigidamente imposti che le hanno portate a definizione.
Questo progetto, sicuramente tra i più emblematici in mostra, racchiude la riflessione che Nazareth ha condotto sulla relazione politico-economica tra Africa e Occidente ed è associato ad altrettanti progetti che hanno ragionato sui sensibili equilibri che definiscono i contemporanei orizzonti razziali e multietnici. Tra queste opere, Linguistic Prejudice - Race Social Class Money e Continents Approaching Machine, entrambe del 2019 e How Is The Color Of My Skin del 2011.
Rappresentativa l’installazione e performance CAM - Cooperativa De Apoio Mútuo A Imigrantes, un lavoro tra i più recenti, del 2021, che ha ricreato una cooperativa d'immigrazione e di mutuo sostegno per immigrati senza documenti, clandestini, rifugiati, esiliati.
L’installazione performativa, attivata da Aissatou Ba, una giovane donna di 34 anni che vive a Bruxelles, si è presentata come un progetto che ha voluto dare voce ai lavoratori immigrati di origine africana, proponendosi di diventare un archivio vivente durante l’esposizione. Il ruolo della performer, fondamentale nell’attivare la performance e nel trasportare il visitatore all’interno dell’azione stessa, ha condotto il pubblico in una riflessione approfondita e personale sui meccanismi legati alla migrazione nella capitale belga.
Di volta in volta le testimonianze dei visitatori sono state inglobate in un archivio composto da carte, fascicoli e faldoni, una raccolta aperta e in continuo divenire che è diventata portatrice di memorie condivise e stratificate sulla migrazione.
Tra i lavori fotografici compaiono in mostra Sem título, dalla serie Para Venda del 2011, Ca _ C` Que Vous Voulez? e Ka'aguy Rupigua, del 2013, e Ca – Sem Título – Limited del 2018.
In particolare in Ka'aguy Rupigua, composto da una fotografia e una installazione sonora, Nazareth sapientemente ci immerge nella testimonianza delle specie vegetali in via d’estinzione nell’America del Sud, che egli ha associato a nomi di bambini appartenenti ad alcune specifiche comunità indigene del Brasile.
Sullo sfondo di questo lavoro un’aspra critica alla cancellazione culturale subita dalle comunità tribali, per quanto riguarda la propria lingua, la propria cultura e le proprie terre. Queste ultime hanno fatto largo, a causa della crudele dilagazione della frammentazione locale e della riconversione di intere aree in Brasile in piantagioni di soia e allevamenti animali, alla sparizione dei luoghi nativi a cui queste comunità ancoravano la propria tradizione. La rimozione viene allora contrastata tramite la voce dei più giovani, gli unici garanti di una storia orale sempre più sulla via della scomparsa.
L’artista, volutamente non presente alla sua mostra al Wiels di Bruxelles, ha deciso di non visitare il continente europeo fino a che non avrà esplorato tutti i paesi del continente africano a cui egli, per la propria storia familiare e per il proprio lavoro, si sente di riconoscere un privilegio di attenzione da non trascurare. E anche in questa occasione ha rispettato la promessa.
La mostra, che ha voluto porre l’attenzione sull’appiattimento linguistico che si sta riscontrando nella capitale belga a causa della lenta sparizione dei dialetti minori e dello squilibrio tra minoranze e maggioranze linguistiche in generale, si interseca con la ricerca antropologica, oltre che artistica, di Nazareth il quale continuamente sollecita il delicato rapporto tra confini, migrazione e memoria culturale. Proprio a partire dai suoi attraversamenti produce testimonianze effimere e temporanee.
Percorrere i confini a piedi è per l'artista una modalità con cui fronteggiare le connessioni-frizioni transnazionali e con cui indagare il tema della diaspora.
Le performance, le sculture, così come le fotografie o i video che ha generato nel corso della sua carriera, sono lavori che si nutrono della dimensione di nomadismo che li ha concepiti, si definiscono come impronte dei luoghi che egli ha attraversato, non solo testimonianze di viaggio ma anche frammenti di una memoria collettiva che l’artista tenta di riportare alla luce.
Nazareth, profondamente influenzato dalla Land art e dalla Performance Art degli anni Settanta, ha incarnato con la propria arte e la propria storia familiare la multietnicità della società brasiliana contemporanea (4).
Questa necessità di porre in dialogo culture diverse tra loro emerge attraverso la sua arte, tramite un’operazione di identificazione della propria produzione artistica con le esperienze quotidiane vissute e un utilizzo dello strumento della partecipatività per vivificare il lavoro sulla memoria collettiva.
La dimensione artistica che Paulo Nazareth abbraccia volontariamente è quella di migrazione. La relazione che da questa ne deriva risulta per l’artista necessaria da considerare nel racconto della contemporaneità, una condizione da abitare in prima persona e a partire dalla quale analizzare le inquietudini sociali.
Durante i suoi attraversamenti, spesso a piedi, delle Americhe o dell’Africa, il camminare diviene un atto di resistenza pacifica, una rivoluzione silenziosa che lo conduce alla sua personale ricerca sul tema identitario. Ad esempio nell’emblematico progetto Noticias de Américas, egli ha percorso a piedi e in autobus circa quindici paesi americani, partendo dallo stato sud-orientale del Brasile di Minas Gerais nel marzo del 2011.
Noticias de Américas - costituito da performance, sculture sociali, disegni, fotografie e video che hanno costituito il materiale che ha continuamente aggiornato un blog appositamente creato per testimoniare il suo viaggio, che originariamente avrebbe dovuto avere la durata di un mese - è un esempio rappresentativo di come il suo racconto si sia evoluto attraversando la multiformità di significati delle Americhe, le caratteristiche morfologiche, economiche e sociali differenti che ha conosciuto e che costituiscono lo scenario contemporaneo che egli ha personalmente attraversato (5).
La rappresentazione di sé nelle opere di Nazareth, ben indagata dalla mostra collettiva Dancing With Myself (6) che ha visto coinvolto l’artista, risulta la modalità privilegiata con cui l’artista interroga il tema identitario e le sue sensibili oscillazioni nel panorama socio-politico contemporaneo (7).
In conclusione, la rivoluzione silenziosa del viandante nella ricerca artistica di Paulo Nazareth mostra l’unica dimensione possibile con cui approcciare l’instabilità contemporanea e le connessioni diasporiche tracciate:
“Consegnato al nomadismo, il viandante spinge avanti i suoi passi, ma non più con l’intenzione di trovare qualcosa: la casa, la patria, l’amore, la verità, la salvezza [...]. Camminando senza una meta all’orizzonte per non perdere le figure del paesaggio, il viandante scopre il vuoto della legge e il sonno della politica che ancora non hanno scoperto che tutti gli uomini sono uomini di frontiera [...]. Se siamo disposti a rinunciare alle nostre radicate convinzioni, quando il radicamento non ha altra profondità che non sia quella della vecchia abitudine, allora il nomadismo del viandante ci offre un modello di cultura che educa perché non immobilizza, perché desitua, perché non offre mai un terreno stabile e sicuro su cui edificare le nostre costruzioni, perché l’apertura che chiede sfiora l’abisso dove non c’è nulla di rassicurante, ma dove è anche scongiurata la monotonia della ripetizione, dell’andare e riandare sulla stessa strada, con i soliti compagni di viaggio, senza nessuno da incontrare.” (8)
Attraversamenti silenziosi ed erranti che tuttavia mostrano la via resiliente del ricordo che si fa ideazione.

Aprile 2025
1) La parola WIELS rimanda al marchio di birra che era prodotto nel birrificio Wielemans. L’edificio originale è infatti del 1930 e fu progettato dall’architetto Adrien Blomme che diede forma appunto al birrificio Wielemans; fu poi riconvertito tra il 2003 e il 2006 e nel 2007 ci fu la prima mostra aperta al pubblico. Oggi l’intero spazio è concepito per essere un luogo di sperimentazione dell'arte contemporanea.
2) https://www.wiels.org/en/about-wiels/history (accesso il 10 aprile 2025)
3) https://www.wiels.org/en/exhibitions/patuá-patois (accesso il 10 aprile 2025)
4) La madre di Paulo Nazareth proviene da una comunità indigena brasiliana; il padre è invece di origini africane e italiane.
5) Il luogo brasiliano di partenza fu Belo Horizonte - situato vicino alla favela in cui l’artista è nato - lo ha successivamente condotto ad attraversare il Sud America, l’America centrale, Cuba, per poi arrivare negli Stati Uniti, a New York, e da lì cominciare a ripercorrere il tragitto di ritorno. Nella sua totalità il viaggio è durato undici mesi.
6) La mostra collettiva Dancing With Myself - a cura di Martin Bethenod e Florian Ebner e presentata a Punta della Dogana a Venezia dall’8 al 16 aprile 2018, dopo aver avuto precedentemente luogo al Museum Folkwang di Essen nel 2016 - ha rispetto alla precedente edizione del museo tedesco presentato cinquantasei opere inedite che hanno ragionato sul concetto di rappresentazione di sé nelle opere degli artisti coinvolti. Con particolare riferimento alla produzione artistica degli anni Settanta ma arrivando fino alla contemporaneità, la mostra ha messo in luce l’intima connessione tra rappresentazione di sé e creazione artistica nella narrazione e formulazione di interrogativi razziali, identitari, di genere e sociali in generale.
7) Si veda ad esempio Senza Titolo del 2011, dalla serie fotografica di Paulo Nazareth Para Venda (For Sale): il primo autoritratto fotografico mostra l’artista che ha attaccata al proprio labbro superiore una mascella animale, il secondo mostra invece il volto dell’artista seminascosto da una testa animale tranciata per metà. In entrambe, al collo dell’artista la scritta “For Sale”, ilare restituzione del registro sul quale si muove Nazareth.
Queste fotografie sono state esposte dalla Pinault Collection nella mostra Dancing With Myself al Museum Folkwang di Essen nel 2016.
8) Galimberti U., L’etica del viandante, Milano, Feltrinelli Editore, 2023, pp. 26-28.